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«Dicono che sia cominciato così, lo sapevi?».
«Lo spiritismo moderno? Sicuro. Nel 1848. le sorelle Fox dichiararono di sentire dei colpi nel muro, come se qualcuno bussasse. Tonfi che venivano da un punto della parete dove non avrebbe dovuto esserci nessuno… e decisero di rispondere».
«Internet, dimenticavo» disse il vecchio sacerdote con una smorfia di disappunto.
«Comunque era una storia creata ad arte. Una fake news si direbbe oggi» aggiunse Matteo.
«Stai cercando di dirmi che anche quello che sta capitando a te è una montatura?».
Toccò a Matteo prodursi in una smorfia. Non di disappunto. Di incertezza, piuttosto. No, non lo era. Durava da troppo tempo. Da sempre, per quel che poteva ricordare. Da quando era bambino.
Ogni notte, alle tre di notte, Matteo si svegliava. Non importava a che ora fosse andato a dormire o dove si trovasse, né se fosse solo o in compagnia o se avesse preso dei sonniferi. Alle tre di notte, di ogni notte, Matteo si svegliava, vigile e attento come un sarto che infili un ago in una cruna. Dopodiché, sia che lasciasse la luce spenta, sia che la accendesse, sia che si alzasse o rimanesse a letto, non gli restava che attendere trentatré secondi. Allo scoccare del trentatreesimo secondo, udiva due colpi nel muro.
Toc Toc.
Era come… ma sì, maledizione, era come se qualcuno bussasse sulla parete appena sopra la sua testa.
«C’è solo un modo per evitarlo» disse «farsi trovare sveglio. Se alle tre sono già o ancora sveglio i colpi non si sentono, ma se sono addormentato, è certo che mi sveglierò e li sentirò».
Il prete si massaggiò il mento e chiese: «Anche altre persone eventualmente presenti li avvertono?».
Matteo esitò. Con Wilma era finita proprio per quel motivo. Le aveva raccontato la faccenda dei colpi nel muro e sul volto di lei era passata un’ombra come un’eclissi.
Quella notte, puntuale, Matteo si era svegliato alle tre. Accanto a lui, Wilma era desta. Ne percepiva gli occhi spalancati nel buio.
Alle tre e trentatré secondi...toc toc.
Alle tre e venticinque minuti, Wilma era fuori di casa, le valigie in mano.
Comunque, non era necessario rivelare al sacerdote tutti i particolari. «Sì, è capitato che li sentissero anche altri» disse semplicemente.
Del resto, non era spaventato da quella storia. Non avvertiva, svegliandosi, inquietudine, angoscia, senso di oppressione o altre impressioni sgradevoli, nè percepiva la presenza di qualcuno o qualcosa. Quella roba andava bene per i romanzi dell’Ottocento o i film seriali del terrore.
Nella realtà, dopo aver udito i colpi, Matteo si girava dall’altra parte e si rimetteva a dormire.
Era giunto alla conclusione che la maggior parte delle persone, quando si imbatteva in un fatto inspiegabile, reagiva proprio così: si girava dall’altra parte. Che diamine, la vita stessa era inspiegabile. Che differenza potevano fare dei colpi battuti nel muro alle tre di notte?
«Tu però hai deciso di rispondere, proprio come le sorelle Fox» disse il vecchio sacerdote. E poi: «sai che cosa significa quell’orario?» chiese.
«L’ora del diavolo» rispose Matteo. «Le tre di notte sono l’ora più lontana dalle tre del pomeriggio cioè quando, con la morte di Cristo in croce, è iniziata la Storia della Salvezza e...» guardò Don Pietro. Il vecchio sacerdote lo osservava attento, le dita congiunte sotto il mento sottile. Stando a quanto Matteo aveva appurato, i sacerdoti erano molto critici verso chiunque trafficasse col soprannaturale. Forse la Chiesa pensava che quella fosse la propria riserva di caccia e voleva mantenere l’esclusiva.
Don Pietro staccò le dita le une dalle altre e cominciò a compitare come un diligente scolaretto «Ci sono quattro tipi di manifestazione diabolica» disse «La possessione, di cui si occupano i film, ma che è la più rara; l’ossessione, quando il diavolo perseguita un soggetto senza intaccarne lo spirito o il corpo, ma sottoponendolo a manifestazioni tormentose, come malattie o pensieri negativi; l’infestazione, quando ad essere frequentato, per così dire, è un luogo o un oggetto, e, infine, la tentazione, cui tutti siamo soggetti continuamente. Direi che il tuo è un caso di ossessione, anche se non particolarmente grave».
«E perché non di infestazione?».
«Hai detto di sentire i colpi ovunque tu dorma, perciò non è il luogo ad essere interessato. Sei tu».
«Per lei è scontato che si tratti di uno spirito maligno, o il diavolo addirittura».
Di nuovo quella smorfia. «Le barriere tra i mondi non sono fatte per essere violate. Dall’attraversarle e da ciò che le attraversa non può venire nulla di buono. Non esistono cose come spiriti maligni o benigni, magia bianca, nera, rossa o di chissà quale altro colore. Tutto quello che proviene dall’altra parte è ostile e vuole la nostra rovina, anche se magari non sembra… c’è un passo della parabola di Lazzaro e del ricco Epulone che… ma non è questo il punto». Don Pietro si chinò in avanti e piantò gli occhi in faccia a Matteo. «Il punto è perché sei venuto da me».
Matteo esitò.
Dopo Wilma, Matteo si era reso conto di non ricordare una relazione duratura nella sua vita. Tutte le donne con cui aveva allacciato un rapporto se n’erano andate. A un certo punto era come se calasse un velo e più lui desiderava che il legame si stringesse, più il velo s’ispessiva fino ad assumere la consistenza di una parete di cemento.
Una parete su cui qualcuno, o qualcosa, poteva bussare.
Si era detto che era solo questione di tempo, o di pazienza o che, al contrario (ma poche volte, solitamente dopo aver alzato un po’ il gomito) la sua era un’esistenza da quasi (quasi) allegro farfallone e finché andava così andava bene.
Ma quei discorsi andavano bene di giorno.
“Alle tre di notte si vede che quella vecchia puttana che è il mondo è senza trucco e non ha naso e ha un occhio di vetro” aveva detto un tale e, per la miseria, aveva ragione.
Alle tre di notte Matteo aveva capito quale sarebbe stato il suo mondo: notti solitarie, trascorse fissando il buio in attesa del bussatore notturno.
Anche perché quella frase di Wilma…
«Lascia perdere» disse Don Pietro appoggiandosi allo schienale della poltrona «Ti direi di recitare delle preghiere, ma dubito che lo faresti. D’altra parte sei in buona compagnia. Persino gli apostoli si sono addormentati nel Getsemani».
«Io non...».
«..Non sei più un bambino e siccome hai scoperto che la fede non è né una roba da bambini né quella roba edulcorata e sciropposa che spesso scambiamo per l’infanzia, l’hai perduta».
«Veramente...»
«Avere fede da adulti è una faccenda complicata, dura e difficile. Per questo la maggior parte delle persone, fuori dalle occasioni canoniche, Natale, cerimonie e ricorrenze varie, tanto carine e consolatorie, lascia perdere. Qualche volta però...» Il sacerdote guardò fuori dalla finestra come se anche lui, in quel momento, stesse dando un’occhiata a un altro mondo. «Qualche volta siamo chiamati a sfide più dure e ci farebbe comodo un po’ di quel sostegno che ci davano le preghierine infantili, ma, ohibò, non funzionano più. Perciò...» si voltò di nuovo verso Matteo «senti dei colpi misteriosi nel muro come se qualcuno ti chiamasse? Girati dall’altra parte e dormi, come hai fatto tutta la vita. Per il resto, cerca di comportarti bene e spera di scoprire, al momento giusto, di esserti comportato abbastanza bene. Adesso è quasi ora di cena e gli orari dell’ospizio sono rigidi, perciò, se non ti spiace...».
Il vecchio si adagiò di nuovo nella poltrona, quasi rattrappendosi, come se tutti gli anni gli fossero piombati improvvisamente addosso, schiacciandolo.
Matteo cercò delle parole di commiato e non le trovò.
Mentre il carrello del pranzo tintinnava nel corridoio gli rivolse un frettoloso saluto e se ne andò.
Sull’uscio, si chiese se il crocifisso sostituisse, per il prete, i colpi nel muro.
Se lo facesse sentire meno solo.
La rete non era il Vangelo e nemmeno un grimorio muffoso redatto da un arabo pazzo, ma ci si poteva accontentare.
Soprattutto, offriva una soluzione a portata di click a patto di non sentirsi troppo stupidi.
Matteo, tra candele, specchi e gessetti faceva il possibile. Per riuscirci continuava a pensare alla frase di Wilma: “C’è un’altra?”. Si era fatto una gran risata. Per Matteo avere qualcuno accanto era un risultato che mai e poi mai avrebbe messo in crisi con una relazione clandestina. Wilma era rimasta sorpresa dallo scoppio di risa e, senza pensarci, Matteo aveva capito di aver fatto una gaffe e tirato fuori la faccenda dei colpi nel muro. Lì per lì gli era sembrato il modo migliore per sviare il discorso, ma, alla prova dei fatti, non si era rivelata granché. Quindi, sì, in un certo senso – specie quando, come adesso, le tre di notte si avvicinavano – c’era qualcuno.
«Vediamo chi» disse Matteo.
Secondo il rituale bastava attendere la mezzanotte, disegnare un pentacolo nel punto in cui si presentavano le manifestazioni, accendere le candele e posizionarle ai vertici del pentacolo. Considerato che il pentacolo era su un muro, Matteo aveva dovuto inchiodare le candele. Come conseguenza, a cose fatte, avrebbe dovuto tinteggiare la parete. Guardando la cera colare sul pavimento e il fumo annerire l’imbiancatura, risalente a meno di due anni prima, si chiedeva che razza di spiegazione avrebbe dato all’imbianchino.
«Speriamo che funzioni» borbottò.
L’orologio del cellulare segnò mezzanotte meno due. Secondo il web si doveva prendere uno specchio di almeno un metro per un metro e mezzo e porlo di fronte al pentacolo.
Se c’era un’entità, a mezzanotte esatta sarebbe apparsa nello specchio. A questo punto si doveva tracciare un secondo pentacolo sulla superficie dello specchio, imprigionando così la presenza. Alle due e cinquantanove si doveva cancellare il primo pentacolo, quello sul muro, e spegnere le candele. In questo modo, l’entità sarebbe rimasta prigioniera per sempre nello specchio, che era bene mettere in un posto sicuro, badando bene che non si rompesse. Era essenziale che il rituale si compisse entro le tre, altrimenti il canale con l’Oltre sarebbe rimasto aperto e l’entità libera di muoversi a piacimento… ma niente affatto felice.
Matteo diede un’occhiata alla sveglia digitale che lo destava senza errori da due anni e agì come il rituale prescriveva. Aveva le mani sudate e lo specchio rischiò di cadergli, ma riuscì ad afferrarlo e a porlo esattamente di fronte al pentacolo.
Riflessa, la parete sopra il suo letto non sembrava più un muro assalito da un graffittaro pazzo e con poco talento, ma un vero portale dimensionale. Qualcosa in grado di attraversare le barriere tra i mondi.
E, qualcosa, a mezzanotte esatta, attraversò.
Non aveva niente di etereo o spettrale. Era una massa grumosa e pesante come un’indigestione. Il fatto che fosse nera come il fondo di un pozzo e che i contorni fossero indefinibili, quasi disegnati da un abile pittore, non toglieva nulla alla sua concretezza.
Comparve al centro dello specchio e puntò verso Matteo avanzando con fatica, come se dovesse aprirsi un varco con le unghie e con i denti che non aveva. Un moto deciso, famelico.
“Buon Dio questo è quello che è venuto a visitarmi ogni notte, da anni” pensò Matteo.
La cosa toccò la superficie dello specchio.
Ci fu un tonfo, leggero, ma inequivocabile.
Matteo cercò di distogliere lo sguardo, ma scoprì di fare fatica.
Dovette farsi forza per disegnare il secondo pentacolo, quello sullo specchio. Le mani gli tremavano e, in ultimo, tracciare le linee era quasi impossibile. Per riuscirci doveva chiudere gli occhi.
Si complimentò con se stesso per aver puntato la sveglia alle tre meno un minuto.
Era certo che la creatura fosse in grado di ipnotizzarlo, trattenendolo quanto bastava perché non riuscisse a cancellare in tempo il pentacolo sul muro. In questo modo il portale sarebbe rimasto aperto e…
Il gessetto si ruppe.
Matteo allungò una mano tremante verso la scatola che conteneva gli altri.
E la fece cadere.
I gessetti caddero sparpagliandosi per ogni dove.
Matteo annaspò, cercandoli.
Gocce di sudore gli stillavano sulla faccia. La vista gli si annebbiò.
Si diede uno schiaffo e recuperò il controllo. Afferrò un gessetto e lo posò sullo specchio nel punto dove aveva interrotto il disegno. L’entità, come un rinoceronte impazzito, prese a colpire la parte interna. La presa sulla mente di Matteo divenne una pressione fisica simile a un forte attacco di cervicale. Il secondo gessetto si sbriciolò come schiacciato da una pressa, ma Matteo mantenne la presa sul frammento.
E completò il cerchio.
Contemporaneamente urlò: «Sei fregato, stro...».
L’entità prese la rincorsa e si lanciò contro lo specchio.
La lastra si deformò formando una bolla grande come una testa umana.
Matteo avvertì un colpo alla bocca dello stomaco, come se qualcuno gli avesse sferrato un cazzotto.
E svenne.
Bip. Bip. Bip.
No, non erano colpi come se qualcuno bussasse. Era...
La sveglia del cellulare.
Per anni l’aveva destato puntualmente ricevendone in cambio insulti e schiaffi.
Matteo si svegliò di soprassalto.
Le due e cinquantanove.
Doveva distruggere il primo pentacolo, altrimenti…
Non perse tempo a pensare né si voltò verso lo specchio.
Afferrò lo straccio che aveva preparato e, con ampi movimenti frenetici, cancellò il disegno. Le candele caddero a terra spegnendosi.
La parete sopra il letto divenne un’enorme macchia nerastra, ma il pentacolo non c’era più e la creatura…
Guardò lo specchio.
L’essere era là, sospeso come una macchia di petrolio su un mare cristallino, ma Matteo non avvertiva nessun rumore né nessuna pressione mentale.
Scoccarono le tre.
Matteo avvertì una vibrazione, come un brivido o un soffio di aria gelida, ma nulla più.
L’entità arretrò, rimpicciolendo.
Ora sembrava una macchia di sporco o un difetto del vetro.
Non restava che prendere quel maledetto specchio e nasconderlo il più lontano possibile, per esempio, per esempio…
Ma si sentiva sfinito.
Il letto, il solito letto che lo accoglieva da anni, non gli era mai sembrato così invitante.
«Tornatene all’inferno, bastardo» ringhiò alla presenza.
Nessuna reazione. Anzi, adesso era persino difficile scorgerla.
Matteo ricontrollò l’ora: le tre e cinque.
E, come dicevano le sentinelle una volta, tutto va bene.
Se la sveglia non avesse funzionato, però…
«D’ora un poi ti tratterò meglio, promesso» disse al cellulare, che tuttavia non parve apprezzare.
Poco male.
Matteo poteva chiudere gli occhi. Un istante, un paio di minuti solo…
Li riaprì più tardi alla solita ora.
Un istante prima di sentire bussare nel muro.
Un istante prima di ricordarsi che, quella notte, era entrata in vigore l’ora legale.
NDA: per i curiosi: la storia vera non è solo quella delle sorelle Fox, ma anche quella dei colpi nel muro a un momento preciso della notte. Mi è stata raccontata anni fa da un tale che, peraltro, e per quanto ne so, conduceva e tuttora conduce una vita normalissima.